Pedüli
Come si facevano
I pedüli erano la scarpa tipica di Lanzada che si usava sempre, anche d’inverno. Le prime vere scarpe che si compravano erano superati i 14 anni, quando spesso si andava via dal paese per andare a lavorare, il più delle volte in Svizzera.
Ogni persona aveva più di un paio di pedüli: soprattutto in inverno, camminando sulla neve, le calzature si bagnavano e quindi era necessario averne un paio di ricambio. Solo quando c’era tanta neve si usavano degli scarponi con i chiodi sulla suola, per non scivolare e camminare più agevolmente. Erano anche piuttosto resistenti e potevano durare più di una stagione, non passavano mai di moda e non era necessario cambiarli come si fa oggi con le scarpe che diventano subito vecchie.
Per quegli degli uomini la storia era diversa: a volte non superavano la stagione e dovevano essere riparati spesso.
Per realizzare i pedüli si parte raccogliendo varie stoffe di riuso, da vecchi grembiuli ormai smessi, da vestiti vecchi e rotti, per fare la suola; una volta si utilizzava tanta stoffa di panno. Ne occorrevano almeno una ventina, anche di più per fare una buona suola alta. Spesso si utilizzava per la parte a contatto con la terra una stoffa un pochino più grossa, ma non c’era una regola precisa. Adesso alle volte sotto si usa un pezzo di jeans, ma è un tessuto troppo duro poi da cucire con l’ago.
Si facevano sei oppure otto nodi lungo i margini delle stoffe tagliate a rettangolo e sovrapposte tutte una sull’altra. Si procedeva poi con la cucitura: prima in verticale, per unire punta e tallone con piccoli punti di al massimo un centimetro, poi si cuciva lungo la forma del piede e per ultimo i bordi delle pezze. Nel tallone, nella parte centrale e in punta si facevano dei punti in più per rinforzare la suola. Per fare questo lavoro occorreva un ago speciale, oggi difficile da trovare. Si tratta di un ago in ferro e successivamente in acciaio a sezione triangolare, comunemente chiamato la gügia d’i pedüli, accompagnato dall’immancabile ditale, senza il quale è impossibile imprimere la giusta forza per trapassare tutte le stoffe che servono per fare la suola. Si infilava l’ago nelle stoffe, fino a vederlo uscire dalla parte opposta; poi si interveniva con il tanain, una tenaglina che aiutava nell’estrazione dell’ago. A quel punto bisognava tirare molto bene e con forza il filo e creare il punto sulle stoffe. Se la stoffa era molto dura e l’ago non poteva superare tutti gli strati, si faceva un piccolo buco con la lescna, un piccolo punteruolo molto appuntito che creava un piccolo foro dove poi sarebbe passato l’ago con più facilità.
Oggi si utilizza il filo di spago, comunemente utilizzato in cucina per legare arrosti e salsicce, ma nel passato veniva usato un particolare tipo di filo di spago che le famiglie compravano a matasse, un poco più sottile di quello di oggi, che veniva comunemente chiamato al fil de pedü. Il filo era sottile, quindi si utilizzavano tre fili contemporaneamente, torti con il carell. Si prendeva il filo torto e si piegava ancora a metà: alla fine per realizzare la suola si lavorava con un filo formato da sei fili più sottili. Il filo ottenuto era molto lungo e si usava un unico filo lunghissimo per preparare una singola suola.
Quando la suola era pronta si cuciva tutto il bordo delle stoffe con punti fitti e si copriva la parte superiore con una stoffa particolare, che fosse capace di tenere caldo il piede ma anche di isolare il piede dai punti cuciti sotto.
Nel frattempo si preparava la tomaia: per fare questo si utilizzavano dei medri, le misure che si tramandavano di madre in figlia, ritagliate da pezzetti di fogli o cartoncini. Oltre alla forma della suola vi erano le tre forme della tomaia: le due parti laterali e la punta. Non erano misure come quelle di oggi che vai al negozio e prendi un 35, o un 40. Si misurava in centimetri e poi si faceva una sagoma lunga quanto serviva.